Disturbo Dipendente di Personalità

Il Disturbo Dipendente di Personalità (DPP) ha una prevalenza dello 0.6% e si manifesta maggiormente nelle donne con un’età media superiore ai 40 anni. Il DSM-5 definisce il Disturbo Dipendente di Personalità come una necessità pervasiva ed eccessiva di essere accuditi, che determina comportamento sottomesso e dipendente per il timore della separazione, che inizia entro la prima età adulta ed è presente in una varietà di contesti.

Il soggetto dipendente ha generalmente difficoltà a prendere anche banali decisioni quotidiane senza chiedere consigli o rassicurazioni e a prendersi la responsabilità di settori importanti della sua vita. Il timore della perdita di vicinanza dell’altro e la percezione di inadeguatezza lo portano a non esprimere mai disaccordo e ad avere difficoltà iniziare progetti o a fare le cose autonomamente. A volte, può spingersi anche a svolgere compiti spiacevoli pur di assecondare l’altro. Quando è solo si sente a disagio o indifeso e, se una relazione importante finisce, cerca subito un’altra persona in grado di prendersi cura di lui.

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La descrizione del paziente con disturbo dipendente di personalità che emerge dal DSM-5 è quello di un soggetto la cui patologia si caratterizza per la passività nelle relazioni interpersonali, la tendenza ad assumere un ruolo subordinato e la bassa autostima. Inquadrare un soggetto DDP solamente attraverso una diagnosi categoriale risulta riduttivo poiché non viene presa in considerazione la dimensione intrapsichica.

Stati mentali e cicli interpersonali disfunzionali ricorrenti nel Disturbo Dipendente

L’approccio cognitivo-comportamentale considera il disturbo dipendente di personalità come il risultato di schemi disfunzionali dove l’immagine di Sè è quella di un soggetto inadeguato, debole, fragile, bisognoso e indifeso, contrapposta all’immagine dell’altro come competente e in grado di accudire e proteggere (Beck et al, 1990).

In particolare tra gli stati mentali maggiormente sperimentati nel DDP, Dimaggio & Semerari (2003) ne descrivono quattro:

  1. stato di auto-efficacia: è lo stato desiderato, caratterizzato da benessere psicofisico, sicurezza, capacità di gestire se stessi e gioia, che si realizza proprio grazie alla presenza di una relazione affettiva stabile e duratura;
  2. stato di vuoto disorganizzato: è quello che si realizza in seguito alla rottura o in assenza di una relazione importante. In pratica è ciò che il soggetto DDP cerca di evitare in tutti i modi attraverso la dipendenza e l’adattamento estremo agli altri. E’ caratterizzato da pensieri di abbandono e perdita, assenza di desideri, tristezza e depressione, e, in casi estremi da vissuti dissociativi (derealizzazione, depersonalizzazione e alterazione dello schema corporeo;
  3. stato di “overwhelming”: si attiva quando sono presenti più relazioni significative e il paziente non è in grado di scegliere tra una serie di scopi che si attivano nella sua mente, poiché fare una scelta significherebbe contrariare qualcuno. Tale stato si caratterizza per una sensazione di confusione, bassa autostima e percezione di bassa efficacia personale;
  4. stato di coercizione e di ribellione alla coercizione: si attiva quando il soggetto percepisce un conflitto tra i propri desideri e quelli dell’altro con cui è in relazione e si caratterizza per la presenza di rabbia non riconosciuta e scambiata con ansia a causa della somiglianza nelle modificazioni neurovegetative che produce.

Le relazioni interpersonali sono di vitale importanza per il soggetto dipendente perché gli permettono di permanere nello stato di auto-efficacia. In questo stato il dipendente si dedica completamente alla comprensione e alla cura dell’altro significativo, tanto da assumerne desideri ed obiettivi. Questo porterà l’altro, soprattutto in presenza di aspetti paranoidi, narcisistici o borderline di personalità, a mettersi nella condizione controllante di decidere e accentrare su di sé l’attenzione, fino a quando il soggetto dipendente inizierà a percepire la coercizione derivante da una contraddizione tra i propri scopi e quelli altrui.

Il tentativo di ribellarsi si esprimerà attraverso un allontanamento, ma la sensazione di vuoto terrifico porterà ad riavvicinamento e ad una sottomissione del dipendente ad un ciclo sado-masochista, con incremento delle condotte maltrattanti nell’altro. Il dipendente attribuirà a se stesso la colpa di tali comportamenti idealizzando l’altro.

In assenza di una rappresentazione stabile dell’immagine dell’altro, il soggetto dipendente entrerà nel ciclo caotico-disregolato dove prevarranno le estenuanti richieste di consigli e rassicurazione che porteranno le figure significative ad alternare disponibilità a tentativi di allontanamento. Lo stato di vuoto conseguente all’indisponibilità dell’altro porteranno il soggetto a riattivare strategie volte al ripristino della vicinanza dell’altro riattivando così un nuovo ciclo.

Bibliografia

American Psychiatric Association (APA), (2013). Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali, trad. ita a cura di Biondi M. (2014), Raffaello Cortina Editore, Milano.
Beck A.T., Freeman A. et al. (1990). Cognitive Therapy of Personality Disorder, Guilford, New York (trad. it. Terapia Cognitiva dei Disturbi di Personalità, Mediserve, Milano, 1993).
Dimaggio & Semerari (2003). I Disturbi di Personalità Modelli e Trattamento. Editori Laterza,
Roma.