Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione

Episodi relativi al rifiuto del cibo sono molto comuni durante l’età evolutiva. Essi si manifestano durante fasi di criticità e cambiamento per il bambino (ad esempio periodo dello svezzamento o dell’acquisizione dell’autonomia alimentare) e, in quanto tali, sono transitori e non prendono la forma di un vero e proprio disturbo. In questo senso, la difficoltà (o disturbo) alimentare può emergere ed essere considerata come tale, all’interno di un percorso di sviluppo in cui il bambino non raggiunge un livello di autonomia e adattamento più complesso rispetto al precedente. Il processo di sviluppo, maturazione, è reso possibile dall’integrazione di capacità biologiche, cognitive ed affettive.

Oltre a questi aspetti bisogna anche considerare il rapporto e l’interazione genitore-bambino che si modificherà man mano parallelamente al grado dell’autonomia e maturazione del bambino. E’ stato dimostrato che questi cambiamenti di interazione influiscono notevolmente sul rapporto che il bambino svilupperà sull’alimentazione. L’interazione bambino-genitore, infatti, costituisce una dimensione determinante nel compito di cura e accudimento che ogni genitore assolve, in quanto rappresenta una fonte di appagamento o apprensione qualora emergano delle difficoltà di natura alimentare.

Le difficoltà dell’alimentazione e della nutrizione possono conclamarsi in un vero e proprio disturbo con modalità diversificate e per questo motivo bisogna fare un’attenta diagnosi differenziale rispetto ad alcune tipologie di condotta alimentare che fanno parte di un quadro non patologico. Tra le condotte alimentari più tipiche rientrano i cosiddetti bambini “spizzicatori”, caratterizzati da scarso appetito e rifiuto selettivo per una gamma di cibi o marche di cibi.

I disturbi alimentari hanno un esordio molto precoce e intenso e si manifestano attraverso diversi comportamenti come ipereccitabilità, irritabilità, faticabilità eccessiva e interruzione precoce dell’assunzione di cibo, oppositività, collera intensa, disinteresse nei confronti del cibo, tendenze a sputarlo, rovesciare il piatto o vomitare quanto introdotto. Tale rifiuto diventa più marcato quanto più l’adulto cerca di forzarlo nell’alimentazione.

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Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, DSM-V (2014), identifica i seguenti quadri diagnostici rilevabili a carico dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione in età evolutiva:

  • disturbo della pica, il bambino tende a ingerire in modo persistente sostanze non alimentari, non commestibili come capelli, sabbia, foglie, insetti, sassi. Questa abitudine, per poter formulare una diagnosi, deve estendersi a un periodo di almeno un mese e deve risultare inadeguata rispetto alla fase di sviluppo del bambino.
  • disturbo della ruminazione, il bambino tende a rigurgitare il cibo per un periodo di almeno un mese. È generalmente irritabile e affamato tra gli episodi, e il cibo rigurgitato può essere rimasticato, sputato o ringoiato dal bambino stesso. Può determinare conseguenze di malnutrizione.
  • disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo comprende aspetti quali: apparente disinteresse da parte del bambino per il mangiare, evitamento del cibo sulla base di alcune caratteristiche sensoriali (olfattiva, tattile, ecc.), timori legati a eventuali conseguenze negative in seguito all’ingestione del cibo. Questo quadro clinico si associa a: una significativa perdita di peso, deficit nutrizionale, compromissione del funzionamento psicosociale e dipendenza eccessiva dall’alimentazione di tipo parentale.
  • anoressia nervosa si manifesta con un’assunzione ristretta di calorie in relazione alle necessità. Comporta un peso corporeo che, nei bambini e negli adolescenti, risulta minore di quello previsto rispetto a età, sesso e salute fisica. A questo si associa un’alterazione del modo di percepirsi nel peso e nella forma del bambino/adolescente e, di conseguenza, un’eccessiva preoccupazione di diventare “grasso” anche se il peso è significativamente basso.
  • bulimia nervosa prevede episodi di abbuffate in cui il bambino/adolescente, in un limitato periodo di tempo, ingerisce una quantità eccessiva di cibo rispetto alle necessità e sperimenta la sensazione di perdere il controllo durante l’episodio non riuscendo a smettere. Il quadro clinico comprende, inoltre, il tentativo del soggetto di prevenire l’aumento di peso in seguito all’abbuffata, attuando condotte compensatorie quali: vomito autoindotto, abuso di lassativi e diuretici, attività fisica eccessiva. Gli episodi di abbuffata e condotta compensatoria si verificano almeno una volta a settimana per tre mesi. Il livello di autostima risulta significativamente compromesso.
  • disturbo da binge-eating presenta un quadro clinico in parte simile a quello precedente, in quanto caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffata (almeno una volta a settimana per tre mesi). A differenza della bulimia nervosa, tuttavia, egli non mette sistematicamente in atto condotte compensatorie quali vomito e abuso di lassativi. Inoltre, il disagio vissuto durante le abbuffate viene manifestato con la tendenza a mangiare rapidamente e fino a sentirsi pieno, grandi quantitativi di cibo anche se non si è affamati. Solitamente questi comportamenti avvengono in solitudine a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando ed associati ad umore depresso e disgusto verso se stessi.

Nelle sezioni seguenti verranno approfonditi e trattati singolarmente i disturbi più diffusi oggi in età evolutiva e adolescenziale (Anoressia nervosa, Bulimia nervosa e Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo).

Cause ed esordio dei disturbi alimentari

Le cause che possiamo far ricondurre alla comparsa di un disturbo alimentare in età evolutiva sono molteplici e di diversa natura. La complessità di un disturbo di questo tipo porta a pensare che sia l’azione combinata di più dimensioni a determinarne lo sviluppo e il mantenimento. Tuttavia, tra i fattori maggiormente implicati troviamo:

  • I fattori predisponenti: indicano una vulnerabilità personale che può essere determinata da una dimensione: genetica (ad esempio il temperamento del bambino), ambientale (interazione disfunzionale bambino-genitore), psicologica (insoddisfazione corporea, bassa autostima).
  • I fattori precipitanti: determinano l’esplosione del disturbo in quegli individui che presentano una predisposizione e possono comprendere: eventi traumatici, lutti, abusi, malattie, conflitti familiari.
  • I fattori di mantenimento: favoriscono la persistenza del disturbo attraverso un circolo vizioso in cui le conseguenze fisiche e psicologiche del disturbo, col passare del tempo, permettono lo stabilizzarsi di stati emotivi depressivi, ansiosi, d’insoddisfazione che, a loro volta, innescano comportamenti disfunzionali (come un’ulteriore restrizione del regime alimentare) con il fine di migliorare la propria autostima. Questo meccanismo, in realtà, non fa che aumentare la gravità del disturbo.

I disturbi dell’alimentazione e della nutrizione esordiscono solitamente durante la prima infanzia (0-3 anni) in alcuni casi fin dalla nascita; mentre nel caso di disturbi come l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa l’esordio può essere più tardivo e presentarsi in età scolare o adolescenziale. Per poter effettuare diagnosi di disturbo dell’alimentazione è necessario escludere la presenza di malattie organiche, la possibilità che il comportamento disfunzionale faccia parte di pratiche culturali o religiose, la presenza di altri disturbi psicologici come disturbi dell’umore o d’ansia in cui la difficoltà alimentare è sintomo degli stessi.

Trattamento dei disturbi alimentari

In base all’età del bambino e in seguito a diagnosi di disturbi alimenrari è necessario programmare un intervento quanto prima possibile. L’intervento che si è mostrato più efficace nel trattamento di questo tipo di disturbi è l’intervento cognitivo-comportamentale, che sarà tanto più comportamentale quanto più l’età del bambino è inferiore. L’intervento cognitivo-comportamentale ha come obiettivo quello di identificare e correggere cognizioni (pensieri) distorte sia nel bambino che nei genitori al fine di modificare anche i comportamenti alimentari disadattivi a essi associati. Tra gli obiettivi più significativi dell’intervento cognitivo-comportamentale si definiscono i seguenti:

  • Fornire informazioni adeguate riguardanti il disturbo;
  • Identificare gli errori di pensiero (distorsioni cognitive) alla base del disturbo per permettere una loro conseguente ristrutturazione;
  • Ridurre la frequenza e l’intensità dei comportamenti alimentari scorretti (ad esempio le abbuffate);
  • Suggerire modalità alternative e più funzionali di comportamento alimentare;
  • Incrementare l’autostima;
  • Promuovere il problem solving;
  • Ottimizzare le capacità di autocontrollo e automonitoraggio grazie alle quali il bambino (o l’adolescente) impara a riconoscere, affrontare e prevedere le situazioni a rischio;
  • Intraprendere un percorso di parent-training

Bibliografia

  • American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
  • Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano 2007.
  • Lambruschi F., “Psicoterapia cognitiva dell’età evolutiva. Procedure di assessment e strategie psicoterapeutiche”. Edizioni Bollati Boringhieri, Torino 2014.
  • Vio C., Lo Presti G., “Diagnosi dei disturbi evolutivi. Modelli, criteri diagnostici e casi clinici”, aggiornato al DSM V, Edizioni Erickson, Trento 2014.